Il Nunzio: nella basilica ci sono simboli ma basta parlare di misteri e altre fantasie
di GIUSTINO PARISSE
Monsignor Orlando Antonini, Nunzio Apostolico, da quando è in pensione è tornato nella sua Villa Sant’Angelo, dove vive in un Map. Da esperto di storia e di architettura religiosa, nell’intervista chiarisce i presunti misteri che si nasconderebbero nella basilica di Santa Maria di Collemaggio che, variamente interpretati, spesso si sovrappongono e rischiano di oscurare la valenza spirituale del luogo nel quale, oltre 700 anni fa, fu incoronato Papa Celestino V dal Morrone.
Monsignor Antonini, la riapertura, dopo la ricostruzione e i restauri, della basilica di Collemaggio ha fatto parlare di nuovo dei cosiddetti “misteri di Collemaggio”: lettura del pavimento, magie astrali, vibrazioni, significati esoterici. Qual è la sua valutazione su questi fenomeni?
«Riconosco che in questi ultimi decenni Santa Maria di Collemaggio è balzata all’attenzione, forse nazionale, guadagnando molto in conoscenza, grazie appunto alla diffusione informativa su tali “misteri”. Ciò è dovuto al ritorno in forze del religioso in quest’epoca post-moderna, alla rinascita del sacro, al risveglio dello spirituale con la conoscenza simbolica a ciò collegata, nell’esigenza di irrazionale quale effetto collaterale dell’avanzamento tecnologico. È però di gran lunga da preferire che l’interesse e la conoscenza di questa nostra splendida basilica si diffondano basandosi più sulla sua eccellenza storica e architettonico-artistica, sui suoi simbolismi cristiani percettibili, e specialmente sul suo essere luogo privilegiato di perdono. Perdono ricevuto da Dio e da noi dato al prossimo, del “perdono” di cui papa Giovanni Paolo II nel 2002 affermava dovrebbe essere immanente al principio “giustizia” motore di una “politica del perdono espressa in atteggiamenti sociali e persino in istituti giuridici, nei quali la stessa giustizia assuma un volto più umano”».
Secondo lei ci sono comunque elementi simbolici voluti dai costruttori?
«Di simbolismo architettonico sono stato proprio io, nel 1988, primo all’Aquila, a riparlare, essendomi imbattuto, nell’esaminare l’architettura delle nostre chiese medioevali, in stranezze strutturali come l’inedita disuguale ampiezza delle navate laterali e il fuori-asse delle absidi rispetto a quello delle navate in alcune di loro. Essendo tali enigmi costruttivi ripetuti identicamente in più esemplari, non solo all’Aquila, ma anche nel suo Contado, anche in Abruzzo, in Italia e persino in Francia in Notre-Dame di Parigi, non si può più credere a circostanze casuali, o ad irregolarità risultate da ricostruzioni post-sismiche, come correntemente si suppone. E se non si ricorre al simbolismo, quale chiave interpretativa, non si riesce a dipanare la matassa neanche dal punto di vista tecnico. A Collemaggio e altre chiese però – ecco il punto – si tratta sì di simbolismi voluti dai costruttori, ma di simbolismi di tipo non esoterico, bensì di tipo teologico e biblico. Simbolismi percepibili a tutti e finalizzati all’impegno e alla crescita spirituale dei fedeli. Quelli delle chiese aquilane non li ho inventati io, li ho scoperti far parte del lessico dei simboli del Medioevo: il fuori-asse absidale rappresenta il capo di Gesù morente sulla croce e la navatella più larga il costato di Gesù crocifisso squarciato dalla lancia del soldato, da cui scaturirono acqua e sangue, simboli a loro volta di Battesimo ed Eucarestia, da cui nasce la Chiesa. Non nego possano esistere nelle strutture e nella decorazione delle chiese simbolismi di altro tipo, giacché il Cristianesimo, grande produttore di simboli, crescendo il numero dei fedeli si trovò, col problema della costruzione di luoghi di culto, ad entrare in stabile rapporto, quale grande committente, con le associazioni di costruttori e relativo loro bagaglio culturale e tradizioni costruttive. Poiché quegli elementi parevano idonei a favorire la vita di fede che esso voleva instaurare, assunse alcuni di quei simboli, quelli suscettibili di adattamento ai propri scopi formativi, eliminandone quanto di essi vi fosse di pagano e, all’occorrenza, sostituendone i contenuti. È però possibile che, nell’elevazione dei nuovi edifici sacri, i costruttori al margine dell’intenzione dei committenti possano aver fatto ricorso anche a sussidi esoterici nascosti. Perciò occorre grande cautela nel leggerli, si può facilmente prendere lucciole per lanterne ed esaltarsi in fantasie fuori luogo, prive di ogni supporto documentale e scientifico».
Spesso si parla anche di cerchi concentrici bicolori, che sarebbero un richiamo alla Creazione, di giochi di luci e ombre, dell’immagine della Vergine che compare grazie ai raggi del sole che penetrano dal rosone. Che c’è di attendibile?
«Il 15 agosto in effetti, festa di Maria Assunta, titolare della basilica, e pare anche nel solstizio d’estate, festa di San Giovanni Battista, i raggi del sole attraversando il rosone maggiore vanno a puntarsi sulla grande bifora absidale e sul disegno bicromo a labirinto del pavimento. Ebbene, sulla bifora illuminata dal sole io non vedo comparire alcuna Vergine – vi sarò refrattario proprio io, uomo di chiesa? – né a terra sento “vibrazioni” di sorta, ma sento solo armonia interiore che nasce dall’incontro con Dio nella preghiera. Anche se il 15 agosto attuale corrispondesse al 15 agosto tre-quattrocentesco della realizzazione del finestrone gotico e del rosone di facciata, nonostante la riforma gregoriana 1582 del calendario – saltò di 10 giorni il calendario giuliano, dal 4 al 15 ottobre – il gioco di luce ebbe comunque vita brevissima: un secolo appena, perché già nel secondo Cinquecento, se non prima, tra i raggi solari del rosone e la bifora di fondo su cui essi si dirigono, prima si interpose come diaframma l’altissimo altare maggiore ligneo dorato, di cui scrive l’Alferi nel 1589, e poi circa nel 1669 sopravvenne la trasformazione barocca del tempio, che occultò i rosoni fino al 1970-72, anni del “ripristino” del Moretti. Insomma, c’è da chiedersi seriamente se detto gioco simbolico di luce sia stato effettivamente voluto dai costruttori».
Quando si parla di Collemaggio, vengono evocati legami tra i Templari e Celestino V, si favoleggia di immensi tesori che sarebbero sepolti sotto la basilica, addirittura il Santo Graal e l’Arca dell’Alleanza. C’è in tutto questo un minimo di verità storica?
«Gli autori effettivamente registrano che Pietro del Morrone fu ospitato e supportato dai Templari quando, nel 1274, si recò a Lione. Inoltre, nel 1294 il priore templare di allora, Ludovico d’Alvernia, fece parte della delegazione papale inviata da Bonifacio VIII a bloccare Celestino a Vieste, per impedirgli di andare a stabilirsi in Terrasanta e per riportarlo indietro: ciò probabilmente, dati appunto i buoni legami esistenti con lui, per persuaderlo ad accettare di obbedire al Papa successore. Che però anche all’Aquila i Templari avessero una loro “magione” – fosse in San Tommaso a fianco di Santa Maria di Assergi, oggi del Carmine, come si ipotizza, o in altro luogo, non importa – non deve né sorprendere ,né accendere, anche qui, fantasie fuori luogo. Prima della sua soppressione, nel 1312, questo Ordine religioso-cavalleresco era presente ovunque in Europa analogamente, seppure in misura minore, ad altri Ordini religiosi: Cistercensi, Francescani, Domenicani e via dicendo. Tutti i superiori ecclesiastici ebbero pertanto normali e più o meno stretti rapporti, istituzionali o economici, con i Templari. Furono i noti miti e le leggende sorte tra XVIII e XIX secolo su di essi e sul loro ultimo Gran Maestro Jacques de Moley – arso sul rogo nel 1314, assieme a Goffredo de Charny e altri dignitari – che formarono attorno a loro l’alone misterico e continuano ad alimentare, oggi, la mania di immaginare che ogni possibile ex magione o commenda templare, od ogni personaggio che abbia avuto rapporti con i Templari, inclusi Pietro del Morrone e Collemaggio, debbano nascondere chissà quali segreti. Se tutti i luoghi candidati a siti ex templari in Europa lo fossero effettivamente, grazie ai rapporti che questo o quel personaggio storico con quei Cavalieri aveva necessariamente intessuto, quanti Santi Graal, quante Arche dell’Alleanza, quanti immensi tesori dovremmo trovare? In tal senso è stato un peccato che avendo a disposizione l’Eni – generoso sponsor della ricostruzione della basilica costata la metà di quanto dapprincipio dichiarato – non si sia provato a far includere nel progetto scavi archeologici nel sottosuolo della basilica medesima: si sarebbe potuto mettere un punto finale a quelle che oggi appaiono poco meno che fervide immaginazioni».
Lei comunque giudica in maniera positiva il risveglio del sacro nella società attuale.
«Sì, certo. Peccato solo che tale risveglio indulga a dubbiosi esoterismi e movimenti panteisti, come la New Age con le sue concezioni post-cristiane, relativiste e neo-gnostiche, nell’ingenua pretesa di realizzarsi con le sole proprie forze tramite la “illuminazione” e a volte in uno spirito di aprioristica contrapposizione alla Chiesa. Ovviamente, poggiando su temi cari al sentire moderno, quali il pacifismo, la fraternità universale, l’ecologia, la religione fai-da-te, e indulgendo alla magia, alla reincarnazione, all’astrologia, alla comunicazione coi defunti, alla divinazione, queste teorie riscuotono audience in tante orecchie post-moderne disinformate. Si tratta di un gioco pericoloso per la stessa civiltà occidentale. Se la cultura balordamente si disfacesse dell’apparato immunitario che è il cristianesimo, riducendolo ad una qualsiasi delle tante religioni susseguitesi nella storia del “sapere originario”, rischierebbe di tornare in epoca pre-scientifica, nel politeismo e nella superstizione, col bel risultato d’esserne annientata proprio in questo momento storico di incontro o scontro di civiltà. E nella nostra società verrebbero vanificati grandi valori culturali e sociali, di cui solo il cristianesimo è stato portatore: i diritti soggettivi di ogni uomo, per essere immagine di Dio; la laicità dello stato grazie alla distinzione evangelica tra Cesare e Dio, in Matteo 21,21, quindi la distinzione tra politica e religione; l’uguale dignità tra uomo e donna. Valori tutti, questi, che non si sono assimilati subito per la loro carica rivoluzionaria, li si è compresi gradualmente nel corso dei secoli, a mezzo anche di dure esperienze e retrocessioni. Ma la fede li aveva inoculati nel nostro Dna».
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